
“Alla fiducia dello Stato che per redimerlo gli consente di studiare e laurearsi si risponde con l’evasione. Quello del ventiseienne componente della “banda dello spray”, con condanna a 10 anni e 11 mesi, che dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza all’Università di Bologna non è più rientrato in carcere, è solo l’ultimo caso di fuga. Siamo al 700% di casi in più di evasioni sulla fiducia dello Stato”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria.
“Evidentemente – aggiunge – la vicenda clamorosa …, anche lui in permesso, questa volta di lavoro ed autore di un nuovo femminicidio, è stata già dimenticata. Noi continuiamo ad insistere: è il caso di riflettere sull’utilizzo, in queste situazioni decisamente “disinvolto”, dell’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che concede il permesso ad uscire dal carcere. È possibile che nessuno si interroghi su cosa fare se non puntualmente solo dopo ogni evasione? Siamo di fronte alla conferma della nostra tesi: la rieducazione della pena da “garantire a tutti e sempre” produce questa situazione. Non può passare invece la tesi – aggiunge – di quanti ritengono che tutti i detenuti, indistintamente dal reato compiuto, solo perché hanno scontato in carcere una parte della pena e si comportano “bene”, vanno rieducati. E che magari ad accertare la “buona condotta” sia il cappellano del carcere. Specie se si è giovani e come nell’ultimo caso nonostante le 6 vittime provocate si continui a dichiarare innocente. Non si tratta di dividersi tra “buonisti” e “cattivi” ma piuttosto di rivedere l’art. 21 e di introdurre dei “paletti” precisi, per prima cosa escludendo chi ha commesso reati gravissimi e di sangue. Ciò anche e soprattutto per far prevalere la funzione restitutiva della pena per vittime e familiari, altrimenti sarebbe troppo facile con un semplice e formale pentimento ottenere benefici di pena come se si trattasse di un automatismo di legge. Per noi è necessario dopo le tre nuove evasioni che la normativa sui permessi di ogni genere – sono stati 35.282 quelli concessi nel 2024, con 3.172 detenuti lavoranti non alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria – sia messa in discussione insieme agli istituti di cosiddetta rieducazione. Le altre soluzioni riguardano come ridurre il sovraffollamento attraverso la differenziazione degli istituti che invece mettono insieme giovani e over 70, tossicodipendenti, persone affette da problemi psichici, alcolisti e differenziando le misure di cosiddetto recupero sociale”, conclude il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria.