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Una vicenda dai contenuti raccapriccianti quella portata alla luce nel febbraio del 2019 dai carabinieri del nucleo operativo della compagnia carabinieri di Guastalla – in un contesto di assoluta omertà per la paura delle vittime a denunciare i soprusi – che sotto il costante coordinamento della Procura reggiana aveva visto tre uomini, che con i rispettivi nuclei familiari vivevano nello stesso immobile, finire in carcere con le pesanti accuse di concorso in maltrattamenti continuati e aggravati ai danni delle rispettive tre mogli e dei loro figli minori, una decina.

All’epoca infatti il GIP del Tribunale di Reggio Emilia accogliendo le richieste della Procura reggiana, concorde con le risultanze investigative dei carabinieri di Guastalla, aveva emesso a carico dei tre uomini di nazionalità pakistana (un 37enne, il fratello 48enne e un loro cugino 50enne), un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che era stata eseguita dai carabinieri di Guastalla che liberarono di fatto dalle angherie da tempo subite i tre nuclei familiari. Quindi l’iter processuale e la condanna dei tre pakistani: per due imputati a 2 anni e 8 mesi e uno a 4 anni e 4 mesi. La cui sentenza è divenuta esecutiva e l’Ufficio Esecuzioni Penali della Procura reggiana ha emesso l’ordine di carcerazione che ieri è stato eseguito dai carabinieri di Boretto. I tre uomini sono stati condotti in carcere per l’espiazione della pena.

Secondo quanto emerse dalle indagini i tre, in concorso morale e materiale tra loro, istigandosi reciprocamente, maltrattavano le loro mogli conviventi in presenza dei figli minori e gli stessi minori con continue vessazioni fisiche e psichiche. In particolare si lasciavano andare ad eccessi d’ira, lesinavano i medicinali, urlavano per un nonnulla, colpivano anche più volte al giorno i figli con schiaffi e le mogli con pugni alla testa usando anche delle sedie, scarpe, bastoni ed altri oggetti contundenti. L’indagine aveva ha preso il via da una segnalazione del servizio sociale giunta ai carabinieri alla luce del riserbo e della scarsa collaborazione delle vittime terrorizzate dalle possibili ripercussioni, aveva visto i carabinieri coordinati dalla Procura reggiana avviare attività tecniche che hanno portato ai dovuti riscontri, alla base della condanna che, divenuta esecutiva, ha visto i tre finire in carcere.


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